Due ametiste, minacciose. Dritte di fronte a sé, in palese segno di sfida. Prima di tutto il fisico, bisognava valutare quello. Niente di strano, un corpo umano come tanti, con una veste monocolore, senza tasche. Seconda cosa, l'ambiente. Vuoto... sfocato? Strano... non riusciva a percepirlo. Troppo tardi, si stava già avvicinando. Posizione di difesa, doveva stare attento... troppo veloce, già era lì. Indecisione. Smarrimento. Strano... non aveva mai combattuto prima d'ora? Sì, quello però sembrava esser sbucato dall'inferno, era come se sapesse già come fare a spezzargli la vita, e che era solo questione di tempo. Sentiva... morte? Che sensazione da... la morte? Impossibile...... oppure no? Doveva prenderlo, fermarlo...... Troppo... troppo tardi.
Nella sua mano c'era già il suo cuore, ancora pulsante.
Senza respirare, scattò in avanti con il busto di qualche centimetro. Era stato solo uno stupido incubo. Sbatté i pugni sul letto con rabbia. Forse non accettava di sognare delle stupidaggini, o magari era arrabbiato soltanto per non aver avuto modo di fronteggiare quel nemico immaginario. Probabilmente quell'incubo era giustificato dallo sforzo eccessivo del giorno prima. Si distese di nuovo, ma vide che era giorno. Le insenature della finestra leggermente sgangherata erano attraversate dai fasci di luce spenta di una mattina fredda e nuvolosa. Laddove la luce toccava il pavimento si potevano scorgere chiaramente molti filamenti sottilissimi di polvere danzante. Solo quella vista avrebbe innescato in Kaimetsu un'innaturale voglia di alzarsi ed uscire da quella casa nel più breve tempo possibile, ma era terribilmente stanco. La polvere provocava in lui un senso di oppressione, di soffocamento, soprattutto di prima mattina, quando il respiro è già angariato dall'aria viziata presente nella stanza. Guardò il soffitto, poi si girò d'un lato, e poi dall'altro, guardando infine la sveglia. Segnava quasi le sei, e doveva alzarsi. Come ogni mattina però, non ne aveva voglia. Cercò uno stimolo, qualcosa che lo facesse scattare all'in piedi. Niente... l'unica cosa che voleva fare era continuare a dormire. Neanche un movimento lento e costante per togliersi a poco a poco le coperte di dosso. Gli occhi li aveva aperti, ma era come in trans.
« Ho esagerato... come cavolo mi è venuto in mente di fare tutte quelle cose in un giorno solo? Devo dosare meglio gli sforzi, altrimenti mi ci vorrà ogni volta un'intera giornata per riprendermi. »
Ok, aveva concluso un ragionamento da sveglio. Poteva considerarsi tale, e pensare a ciò che avrebbe fatto in giornata. Macché, neanche a parlarne. Una secchiata d'acqua non l'avrebbe smosso. Riaprì gli occhi. Li aveva chiusi quando? Non ricordava. Guardò di nuovo la sveglia: le sette. Si sentì in colpa con sé stesso, aveva tradito l'orario che si era autoimposto la sera precedente. Ma gli occhi eran pesanti... così pesanti... No! Li riaprì di nuovo. Guardò di nuovo la sveglia e... le sette e trenta. Di questo passo sarebbe certamente andato avanti per molto tempo. Prese le coperte e le lanciò avanti, e si sedette sul letto. Faceva freddino, era meglio vestirsi, anche se ancor meglio sarebbe stato tornare a letto. Sofferente si mise qualcosa addosso, e aprì le persiane. La luce lo rinvigorì nel profondo, ora sentiva di avere qualche energia in più. Aprì così del tutto le ante della finestra, come se fosse ansioso di prendersi una polmonite fulminante, e cominciò a vivere la sua giornata.
Riuscì a prepararsi in poco più di dieci minuti, uscì dalla camera e andò nel primo bar o chiosco che vide per fare colazione. Si vestì come un normale civile: pantaloni di cotone e lupetto in lana entrambi neri, con addosso il classico suo equipaggiamento. Non c'era quasi nessuno appena entrato, trascurando il barista. Era intento a pulire con maniacale dedizione il bancone già incredibilmente lucido. Probabilmente il bar non aveva ricevuto in passato molti clienti, oppure era stato realizzato da poco tempo. Kaimetsu si avvicinò tranquillamente al bancone ed ordinò qualche delizia mattutina che era esposta, e una bevanda insolita che aveva letto sul menù affisso alla parete di fronte a lui. Il barista cominciò a pubblicizzare la bevanda, dicendo che era una produzione locale che veniva sempre più richiesta. Elencò gli ingredienti fondamentali, e Kai ribatté dicendo che sembravano aggregarsi bene e che a lui piacevano molto. Era un uomo sulla sessantina, bassino, con una faccia simpatica. Sembrava voler nascondere quanto più gli era possibile la voluttà di aver ricevuto un cliente nuovo o importante, ma d'altronde poteva benissimo esser contento per qualcos'altro, come ad esempio la morte prematura della suocera. Continuarono a parlare del più e del meno, del villaggio, e di Kai, il quale in fondo disse di sé soltanto da dove veniva e che cosa era venuto a fare in quel posto. Gli sembrò una brava persona, e dedusse che sicuramente aveva molti clienti rispetto a quanto pensasse prima, e questo solo per via della sua ilarità, che faceva intendere che avesse molti conoscenti o amici. Finita l'ottima colazione, Kai augurò ad Hidemichi una buona giornata, e si diresse a passi ben distanziati verso il suo campo d'allenamento. Ma non appena fatti neanche cento metri, si ritrovò tutt'intorno sei ragazzi tutti sopra i vent'anni con passamontagna, mazze da baseball alla mano, e molti di loro con muscoli visivamente sviluppati, soffiando con forza dalla bocca intimazioni e minacce di morte. Kaimetsu rivolse ad ognuno di loro uno sguardo molto simile a quello che sorge spontaneo guardando un cane di piccolissima taglia, magari anche provvisto di museruola, abbaiarti contro. Spostò gli occhi da un individuo ad un altro, ma non disse né fece altro, fino a quando, passati cinque secondi in silenzio, guardò in avanti e proseguì il suo commino. Come fece un passo, uno di loro caricò all'indietro la sua mazza da baseball, e gli gridò contro che gli avrebbe spaccato la testa se avesse fatto un altro passo. Kai, dopo essersi bloccato per sentire quello che aveva da dire, continuò la sua camminata senza problemi. Il ragazzo che aveva gridato non esitò quindi a colpirlo dritto in faccia. Kai parò il colpo solo con il palmo della mano destra.
« Sono spiacente, ma avete scelto una pessima vittima. »
Stringendo le dita della mano in un pugno, spaccò la mazza da baseball, e in una frazione di secondo effettuò delle prese con le dita sul collo della maggior parte di loro, e diede dei tremendi colpi alla nuca ai rimanenti che sembravano essere i più grossi. Senza neanche accorgersene, erano tutti a terra svenuti. Alcuni negozianti che avevano visto la scena rimasero esterrefatti e uscirono in strada increduli; i passanti invece prima affrettarono il passo, e poi si fermarono osservando quanto accaduto. Kai richiamò due rospi di discrete dimensioni, e mise sulle loro spalle gli sprovveduti. Una volta caricati tutti, si guardò attorno e chiese alle persone che erano ancora intente a fissarlo dove fosse la più vicina caserma della milizia locale. Dato che gli dissero che non era molto lontana, incaricò i Rospi di consegnare ai miliziani quel “pacco regalo”. Si trattava di andare oltre il paesino e attraversare la boscaglia per raggiungere un altro centro poco abitato; al massimo due chilometri di percorso. Per esser sicuro che avessero capito bene, scrisse anche un bigliettino in cui diceva di essere stato aggredito da quella banda, e lo serrò intorno ad una insolita collana di perle che portava il più sgargiante tra i due rospi. Sistemato tutto, si strofinò le mani le une alle altre e ripartì, non dando altra importanza agli sguardi della gente.
A metà strada si accorse di non avere ancora idea di quale allenamento fare. Nel giorno precedente aveva sostenuto un allenamento sulla forza, e si era cimentato nella creazione di una tecnica personale. A questo punto un buon allenamento alternativo sarebbe stato quello sulla velocità, sulla capacità di schivare i colpi, sullo scatto ravvicinato e quindi sul miglioramento dello shunshin di semplice movimento. La cosa non era semplice da progettare: aveva sicuramente bisogno di qualcuno che lo impegnasse nello schivare colpi velocissimi ed in grado di effettuare lanci sempre più difficili. Pensò a qualche sistema ingegnoso per il lancio automatico di armi, ma di certo la fabbrica di dispositivi meccanici non la portava di certo nelle tasche. La soluzione più ovvia gli venne presto in mente: usare i suoi classici Kage Bunshin. Oramai si era specializzato nella creazione di tecniche e strategie che li utilizzassero, e quindi era abbastanza automatico pensare a loro utilizzo per qualsiasi difficile situazione. La strada da percorrere non era molta, ma era mantenuta male. L'erba e le piante l'avevano invasa tanto da non renderla riconoscibile in alcuni punti, se non da vicino o dall'assenza di vegetazione di medio fusto lungo di essa. Anche il villaggio non aveva una pavimentazione sufficiente, era per lo più costituito da piccoli sentieri lastricati giusto nei punti più trafficati, e per il resto vi era soltanto terriccio. Un villaggio isolato, in cui si poteva davvero respirare a pieni polmoni l'aria salutare e non inquinata proveniente dal bosco, e in cui lo sviluppo industriale e il caos derivato da esso non sarebbe giunto se non dopo molto molto tempo.
Appena arrivato al suo campo, che si presentava umido per via del tempo incerto, senza perdere altro tempo invocò un Bushin corporeo utilizzando la tecnica generica, e diede alla copia realizzata tutte le armi la lancio di cui disponeva. Si distanziò di circa 5 metri, e dopo un po' di tempo per concentrarsi, diede il segnale al clone di cominciare la danza. La copia iniziò con shuriken, lanciandone una quantità industriale in ogni possibile punto del corpo ed anche in ogni probabile punto di schivata. Kai si rese subito conto di quanto difficile fosse l'esercizio da lui iniziato. Schivò la prima serie di shuriken, ma già dalla seconda sfiorò pericolosamente quasi tutte le armi, trovandosi alla terza praticamente scoperto. La copia capì che era impossibile che Kai riuscisse a schivare i colpi e si fermò di colpo, fortunatamente per lui. Il Jonin Speciale analizzò presto che se la copia avesse usato direttamente gli spiedi o qualcos'altro di più pericoloso, molto probabilmente avrebbe riportato delle ferite. Rimase un attimo a pensare preoccupato a come ridurre la difficoltà dell'esercizio, ma non aveva inizialmente idee. La copia però si illuminò in volto e disse che bastava che si impegnasse di meno e lasciasse inizialmente più spazi, per poter poi progressivamente impegnarsi di più. Kai guardò stranito la copia, ed essa rispose allo sguardo alzando un sopracciglio, come per dire a chiare lettere “Sum, Ergo Cogito”. Partirono all'istante, e Kaimetsu riuscì a cavarsela e a vedere che le cose andavano meglio. La copia lanciava shuriken da ogni tipo di angolazione, senza mai curarsi del bersaglio. D'un tratto a Kai venne un'altra idea: perché mai solo lui avrebbe dovuto allenarsi? Fare allenare una copia, o altre due insieme avrebbe moltiplicato il vantaggio. E così creò altre sei copie, suddividendo le armi per ciascuna. Inizialmente combatterono a coppie, fronteggiandosi in duelli acrobatici, senza mai parare le armi ma solo schivarle incessantemente. Nel momento in cui spiedi e shuriken cominciarono a finire, quelle che erano a terra divennero nuove armi e tutto ricominciava daccapo. La complessità cominciò progressivamente ad aumentare, ma anche la stanchezza. Dopo due ore di continuo sforzo non c'era più alcun impedimento nel lancio, si colpiva per colpire e basta. Le gocce di sudore sfavillavano nell'aria accompagnate dai movimenti armoniosi e rapidi delle copie. Capriole in ogni direzione, avvitamenti aerei, salti e flessioni del corpo di ogni tipo si susseguivano sempre più veloci e precisi, accompagnati da singoli o multipli lanci di armi, che oramai non riuscivano mai a sfiorare i corpi delle copie. Dopo un altro quarto d'ora, Kai fece arrestare tutti in modo da assorbire tutto quello che avevano imparato. Prima di farle scomparire gli fece raccogliere tutte le armi lanciate e opportunamente mirate in modo tale da non farle allontanare dal campo d'azione. Tutto il rettangolo era stato sfruttato da loro, in modo da poter lanciare le armi con la velocità massima possibile e fare in modo da non perderle. Una volta raccolte tutte vicino a lui, Kai si distese sul terreno umido e compatto e rilasciò le copie. Si sentì svenire ma riuscì a controllarsi, e dopo un po' di tempo anche ad alzarsi e a voler riprendere. Il respiro era affannato, la mente debilitata e deconcentrata dallo sforzo. Doveva riprendere la lucidità completa, altrimenti non avrebbe fatto alcun progresso, e nel fare questo non poteva permettersi di adagiarsi troppo. Restò cinque minuti assorto nel guardare dritto davanti a sé, cercando di focalizzare la vista verso qualcosa di fisso. Non trovava nulla che non si muoveva, tutto sembrava avvolto dal vento, perfino i tronchi degli alberi. I faggi e le betulle sembravano dominare il paesaggio, ma nella loro altezza erano i più sensibili alla forza del vento. I primi frutici visibili coprivano il sottobosco, come una barriera tra ciò che Kai cercava e lui stesso. L'aria cominciava a farsi più fredda, il cielo sembrava inspirare per poi dopo poco rilasciare quanto assorbito. Dovette rassegnarsi a quella stupida convenzione. Chiuse gli occhi per cinque secondi e poi ripartì con l'allenamento. Stesso di prima: sette copie, tre coppie di sfidanti interagenti fra loro, un solo fine. Dopo i primi venti minuti l'acqua cominciò a sentirsi infrangere sui vestiti. Il problema che ne sarebbe scaturito sarebbe stato quello del rischio di scivolare sul terreno, che presto sarebbe diventato melma su cui sguazzare. “Bene” pensarono bene o male tutti i Kaimetsu presenti, la difficoltà sarebbe aumentata, e quindi ci sarebbe stato un limite più alto da superare. Le ore passarono faticosamente, due copie subirono dei tagli e altre due vennero addirittura fatte scomparire, una con tre spiedi in gola e un'altra con un unico colpo di shuriken in mezzo al braccio. Si erano fatte le due ed era pur ora di pranzo. Kai interruppe bruscamente l'allenamento e si incamminò con far lesto verso il paesino. Sentiva il bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso invece che i semplici snack calorici confezione ninja, questo sempre se li avesse avuti con sé. Il tragitto fu brevissimo, a lui sembrò che fossero passati dieci minuti da lì alla doccia della sua stanza, e dalla doccia al ristorante del giorno precedente. Appena entrato nella taverna vide più gente dell'altra volta, avvertiva quasi del chiasso, cosa insolita in un villaggio con un nome che garantirebbe il contrario. C'era una cerchia di amici che banchettava allegra, forse per un compleanno di qualche bambino. Sembrava ci fossero tre famiglie, con tanto di pargoli e biberon, perfettamente a loro agio, come se non dovessero neppure pensare per proferire qualcosa di divertente ed interessante per il resto della compagnia. Guardandoli, Kaimetsu sentì come se un vuoto dentro di sé lo risucchiasse all'interno. Perdersi in quell'attimo sarebbe stato come rimpicciolirsi sempre più fino a scomparire. Non c'era nulla che in quel momento avrebbe dato un senso così tangibile e reale a quello che stava vivendo e che aveva vissuto fino a quell'istante. Vivere da solo comportava questo, e lui lo sapeva. Di tutte le volte nelle quali aveva avuto occasione di cambiare, aveva preferito il “lavoro” di soldato. Ma non era solo quello. Molti come lui avevano comunque trovato il tempo per fare altro. Evidentemente c'era qualcosa in lui che non desiderava andare oltre, forse per garantirsi tranquillità, o semplicemente per vigliaccheria o egocentrismo. O forse era altro ancora, magari qualcosa di più serio, di certo neppure lui ne era sicuro. La sua vita non era stata tranquilla e serena. Forse il ricordo dei suoi genitori morti e della solitudine di tutta la sua infanzia era più vivido in lui di quanto immaginasse. Come al solito, se ne curò il necessario, e poi continuò a camminare. Ordinò un piatto calorico e nutriente, e poi si mise a guardare in giro appoggiato al bancone. I bambini intanto giocherellavano e gridavano gioiosi tra i tavoli e i genitori discutevano chi della qualità del sake, chi della prossima festa del villaggio. Si sedette al tavolo che sembrava più piccolo, e continuò ad ascoltare senza guardare direttamente. La mente cominciò a riempirsi di pensieri sull'allenamento, e su come fare per renderlo più complicato. Immaginò che sarebbe stato facile finire la giornata con un progresso minimo sulla velocità, il quale di sicuro non gli sarebbe bastato. C'era bisogno di un modo per rendere più complicata la schivata, e sfruttare questa complicazione per far aumentare la velocità e non per migliorare soltanto la tecnica. Pensò a costruire qualcosa con le sue stesse tecniche che fosse in grado di rendere più difficile il movimento, come ad esempio combattere sott'acqua. Fare questo però significava anche aumentare l'attrito delle armi da lancio, rendendo inutile l'espediente. Passarono pochi minuti e arrivò il pranzo, portato dall'oste con un sorriso a trentadue denti. Non appena fece per prendere le bacchette, si sentì la porta aprirsi di scatto lasciando entrare qualcuno che si mise poi a correre verso il bancone. Kai si voltò con ovvia sorpresa. Era una donna di circa venticinque anni, con lunghi e lisci capelli castano scuro. Indossava una veste comune color blu notte, con piccole rifiniture nere. La veste era larga, e non lasciava facilmente delineare il corpo, cosa molto insolita viste le nuove mode femminili che tendevano proprio verso lo scoprire sempre di più. Il pranzo aveva l'aria di essere gustoso, non perse tempo nel cominciare a trangugiarselo. La donna disse all'oste qualcosa riguardo a consegne e a ritardi, ma non si sentì bene tutto il discorso. Kai infatti riuscì a capire qualcosa solo dal trombone vocale dell'oste. Ella pareva avere una voce sottile e fioca, quasi non udibile neanche da pochi centimetri. Così come era entrata uscì, incurante del luogo in cui si trovava. Mentre fece per aprire la porta però si voltò, e due occhi di un marrone vivo, come ardenti, apparvero in un viso candido ed esile come la neve. Kai la accompagnò con lo sguardo fin quando la porta si chiuse. Degustò fino all'ultima briciola il pranzetto, pagò ed uscì lesto. Aveva nel frattempo avuto un'idea su come rendere più difficoltoso quello che lo aspettava nel pomeriggio. Si guardò intorno cercando qualcosa all'altezza della sua testa, o poco più in alto. Un'insegna, che sicuramente o avrebbe trovato presto o, e quasi sicuramente immaginava quest'ultimo scenario, non avrebbe trovato affatto. Trovare un passante per chiedere informazioni si prospettava ancor più difficile, e quindi dovette tornare indietro verso la taverna. L'oste fu gentile nel dirgli che l'unico fabbro della zona era a quasi venti chilometri di distanza. La prima cosa a cui pensò fu “questo succede a chi non si programma prima le cose”, e la seconda cosa fu pensare a quale strada prendere, però la terza, completamente inaspettata, lo illuminò. Salutò e corse all'ostello, dove c'era ad aspettarlo il proprietario tuttofare che era intento a lavare il pavimento. Nell'ingresso, costituito da una semplicissima stanza con una sorta di “reception”, un divano, la scala, il proprietario con la sua inseparabile scopa, e dulcis in fundo un'armatura da samurai molto poco raffinata, dal peso sicuramente notevole, poggiata ad un sostegno in legno. Ovviamente, Kai chiese al proprietario se poteva utilizzarla per il suo allenamento. Ri-ovviamente, il proprietario non accettò neanche per un milione di ryo. A questo punto, lo shinobi saggio cominciò a parlare dell'allenamento come qualcosa di vitale, necessario per sconfiggere un nemico impressionante, una bestia enorme a tre teste, simile ad un Bijuu, che se non fosse stata stata sconfitta avrebbe imperversato indisturbata in tutte le terre del Paese. Al che, ri-e ancora-ovviamente il proprietario non poté che accettare, anche se chiedendo un pegno di un centinaio di ryo. Pesava all'incirca trentacinque chilogrammi che si facevano sentire piuttosto bene sul corpo. Camminare con quella cosa addosso non sarebbe stato molto divertente, se non per chi avrebbe osservato. Una corsa in maschera non era proprio il caso di farla, per cui decise di portarla sulle spalle, mettendo la parte superiore a destra, quella inferiore a sinistra e l'elmo tra le mani. Sembrava comunque un soldato dei tempi andati, che correva verso il fonte perché in tremendo ritardo. Passò tutto il pomeriggio ad allenarsi con indosso a lui e alle sue copie la stessa armatura. Indubbiamente la difficoltà non venne superata completamente, e l'uso dell'armatura si rivelò soprattutto utile per evitare che le copie e l'originale si ferissero, dato che inizialmente le armi e i kunai producevano un concerto unico sulle carcasse di metallo dell'armatura di scarsa fattura. Percorse la via del ritorno completamente stremato, ma non così tanto da non permettergli di portare in spalla ancora l'armatura. Arrivò verso le dieci e trenta, e dopo esser passato per casa, si rifocillò al solito chiosco, e rincasò un'ora più tardi.
L'indomani si prospettava ancor meno entusiasmante di quelli precedenti. Avrebbe infatti dovuto eseguire gli stessi esercizi sulla forza e sulla velocità già fatti. Indubbiamente un giorno per entrambi, per un normale essere umano come per un ninja, non avrebbe di certo giovato per chissà quanto. La giornata non impresse molti ricordi nella mente dello shinobi, se non degli isolati episodi avvenuti nel villaggio. Appena imboccato un viottolo che portava a Nord, la strada che usava sempre per uscire e andare al campo, tra due modeste abitazioni provviste di piano superiore e balconi, vide di nuovo la ragazza della taverna. Lei non lo degnò di uno sguardo, e anche Kaimetsu non impegnò gli occhi più del necessario. Il vicolo da dove proveniva sembrava molto povero, nascosto dall'abbondanza degli edifici che si affacciavano lungo la strada. Girandosi, vide che la ragazza portava delle buste con poca roba all'interno. L'abito fu l'altra cosa che notò, che questa volta era più trasandato, una vecchia tunica grigia, che addirittura sembrava quasi fosse di uno dei suoi nonni. Un altro evento meno monotono fu quello di avere offerto a uno sconosciuto del posto il pranzo. Lo aveva visto stranamente giù di corda e lo aveva invogliato a confidarsi. L'argomento sembrava chiarissimo: donne. Non volle mai dire apertamente cosa gli era successo, ma sicuramente si poteva dedurre che avesse litigato con la moglie per problemi piuttosto seri. Sospettava forse che l'avesse tradito, infatti parlava con il ninja come se avesse una calunnia bella che pronta per qualcuno, e che sapesse esattamente a chi rivolgerla. Era molto arrabbiato, ma celava la rabbia solo per non vergognarsene. Kai gli consigliò che prima di agire avrebbe dovuto esser certo delle motivazioni, e che nel caso le avesse avute, avrebbe dovuto esser duro e non cedere ai compromessi. L'uomo sembrò convinto, però si capiva che amasse molto sua moglie e che probabilmente non avrebbe retto. Mentre uscì, gli diede una pacca forte sulla spalla, guardandolo come per cercare di dargli forza. La serata fu invece molto movimentata. Gli abitanti avevano indetto una festicciola, che chiamavano della Danza del Faggio, che aveva delle motivazioni oramai erano quasi del tutto perdute, tanto che nessuno seppe spiegare bene tutta la storia. Si narrò soltanto che quel villaggio venne costruito intorno alle radici di un grande faggio che sovrastava tutta la zona, e che venne distrutto nella prima Era dopo una delle prime Grandi Guerre. Curiosamente alcuni dicevano anche che lo spazio che la sua caduta liberò, radendo naturalmente al suolo quel che c'era sotto, fu quello sul quale venne realizzata la strada principale, che servì poi a collegare il villaggio al resto del continente. A quella festa Kaimetsu non volle partecipare se non per gradire qualche pietanza tipica del posto, e conoscere altra gente bizzarra e desiderosa di parlare con uno sconosciuto. Siccome la gente non era molta, cercò di non mettersi troppo in luce, e di limitarsi principalmente ad osservare. Ritrovò il maniscalco con la moglie libertina seduto su una panca con una ciarla di sake in mano, l'oste della taverna che serviva pietanze insieme ad un altro di un paese limitrofo venuto per aiutarlo, perfino il taccagno proprietario dell'ostello che osservava guardingo se ci fosse qualche altro straniero alla festa, e poi il macellaio con l'esimia famiglia, una simpatica ragazza che si esibiva come ballerina, e un giovane sui vent'anni che studiava architettura all'università. Non mancarono le persone che si congratularono con lui per l'episodio della banda di manigoldi che aveva sistemato. Seppe che era da circa due anni che comparivano e scomparivano in quelle terre e saccheggiavano gli stranieri. La serata fu molto povera, non c'era molta possibilità di svago, però nel suo piccolo risultò divertente e a tratti interessante. Una piacevole fonte di serenità e allegria, che solo nelle piccole e pacifiche comunità come quella avrebbe potuto manifestarsi.
Triiiin, triiieeeiiin. La festa era finita, è questo era il suono, a quell'ora, più brutto del mondo. Le sette. Cosa si darebbe per far inserire un'altra bella oretta tra quel sette e quell'otto così vicini in quel quadrante in basso a sinistra. Non era proprio ora di svegliarsi. Era deciso, e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea. E... l'allenamento? ...Come? Cosa? Chi è? Perché? Tanto valeva non chiederglielo e farlo dormire fin quando avrebbe voluto. E così fu, non si lasciò impietosire. Volendo precisare il complemento oggetto, da... beh da sé stesso. Un sé stesso dell'altro ieri, che non si doveva trascurare che potesse essere molto ma molto diverso da quello di quell'ora, in quella mattina. Per farla breve, si svegliò alle 9 in punto. Successivamente pensò cosa gli avrebbe impedito di non potersi allenarsi nella velocità preparandosi del tutto in un minuto. Stranamente però non ci riuscì, e corse senza neanche fare colazione verso il campo. La mattina era fresca, e il sole batteva forte. Indossò la sua abituale veste Hyuga chiara. Passando sempre dal classico viale vide di nuovo quella strana donna, che questa volta stava per entrare in quel vicolo stretto del giorno precedente. Aveva la stessa veste, e sempre le stesse buste in mano. Questa volta però sembravano pesanti, erano stracariche e per di più Kai ne contò circa quattro in ogni mano. Come avrebbe fatto con chiunque in quella situazione, si fermò e poggiò una mano sulla muratura di uno dei due edifici limitrofi.
« Serve una mano? »
Lei si voltò di scatto, come se la voce l'avesse spaventata. Così da vicino non sembrava così appariscente come l'altra volta, gli occhi non erano grandi come Kai ricordava.
« Non c'è bisogno, ce la posso fare. »
Aveva un respiro terribilmente affannato e le palpebre di tanto in tanto si socchiudevano lasciando gli occhi leggermente labili nella direzione in cui avrebbero dovuto esser fermi.
« Suvvia, ha un po' esagerato con i pesi oggi. »
Gli tolse quasi di mano le buste e si incamminò nella direzione in cui stava andando la donna.
« Ce la fa a camminare, vero? » « Dovrei farcela, grazie dell'interessamento. » « Si figuri. Posso sapere cosa ci fa da queste parti? » « Niente di particolare. Da questa parte. »
La giovane si imbucò in un vicolo quasi irriconoscibile per quanto stretto e pieno di cianfrusaglie sparse dappertutto. C'erano vecchi armadi, scarpe, vestiti gettati a terra come dei tappeti, immondizia. Sembrava esser entrati in una discarica interna al paesino stesso. Qualcosa di assurdo se si considera che con una popolazione così bassa era improbabile che nessuno se ne fosse accorto e si fosse dedicato a sistemare un po' tutto. Evidentemente era un'area abbandonata da molto tempo, magari per via del fatto che non provenivano topi o parassiti dal di dentro, e nessuno ci abitava, e quindi era stato sempre inutile sgomberarla. Più si avanzava e più si ci poteva meravigliare del fatto che si avanzasse ancora. La donna procedeva davanti, e Kai cercava di seguirla e contemporaneamente di mettere i piedi nei posti giusti. D'un tratto si fermò e aprì una porta semi nascosta dall'oscurità di quel luogo.
« Non sembra molto accogliente... » « In effetti, non lo è. Mi scusi di averla fatta arrivare fin qui, spero riesca a tornare indietro. La ringrazio per l'aiuto, ora penso non sia il caso di trattenerla oltre. » « No, si figuri. Viste le circostanze, posso esserle ancora utile per qualcosa? » « Non credo proprio. Salite delle scale, c'è una vecchia barbona moribonda a cui sto portando da mangiare. E' sola, e forse nessuno sa o si rende conto che sia ancora viva. E' una mia lontana parente, e la mia famiglia l'ha sempre accudita. » « Capisco... io sono uno shinobi di Konoha, conosco le arti mediche. Se dice che sia malata, potrei visitarla. » « Ne è sicuro? Se è così non vorrei farle perdere altro tempo, ha già fatto abbastanza... » « Lo faccio con piacere. »
La donna chinò la testa come per rassegnarsi, aprì la porta e fece entrare Kai. Nella piccola stanza, al contrario di come sembrava fuori, c'era sicuramente più ordine di quanto il ninja si aspettasse. Molti utensili erano buttati sul piccolo tavolo in legno e sulla cucina, nel lavandino non c'era il benché minimo segno di sapone, e all'interno erano riposte molte scodelle e posate sporche. La casa sembrava esser curata soltanto dalla giovane, e l'anziana si faceva soltanto da mangiare senza azzardarsi a pulire nulla. C'era solo quella stanza e una scala a doppia rampa che portava al piano di sopra, sicuramente avente le stesse esigue dimensioni di quello di sotto. I due salirono e trovarono la vecchia distesa sul letto, dormiente. Era pulita, contrariamente a come lo shinobi pensasse, con i capelli lunghi argentei pettinati o meno alla rinfusa. La corporatura non era minuta, bensì sana all'aspetto. Kai gli si avvicinò ed utilizzò la tecnica delle mani curative per vedere cosa c'era che non andava. Si accorse qualche minuto dopo che i reni e il fegato erano in condizioni pessime. Cercò di fare il possibile, ma si rese conto che era necessario un intervento per fagli asportare un rene, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Kai disse alla giovane il problema e lei rispose subito che l'anziana non avrebbe voluto in alcun caso essere portata fuori da quella casa, o sarebbe di certo morta nel tragitto di crepacuore. Preferiva restare lì piuttosto di essere curata, e avrebbe ucciso pur di restarci fino alla morte. Di fronte a questa fermezza, il ninja cercò di far capire che c'erano molte possibilità per illudere l'anziana e non fargli credere che fosse stata portata fuori. La ragazza disse che un fallimento avrebbe certamente segnato comunque la sua morte, poiché la parente non avrebbe permesso più a nessuno di entrare nella sua dimora, e per tanto il rischio era troppo elevato. Kai capì che probabilmente non era del tutto sicura di quel che aveva detto, e quindi tenendo conto di questo spiraglio, si ripromise di aprirgli gli occhi casomai dopo che ci avesse pensato meglio su. La donna a quel punto cominciò a fare le faccende di casa, e si era fatto un po' tardi, per cui lo shinobi si congedò con la ragazza e nel farlo lasciò sottintendere che non conosceva ancora il suo nome. Lei prontamente disse di chiamarsi Hitomi, e quindi anche Kai rivelò il suo.
Ritornato sul cammino la sua mente venne occupata dalla ricerca di un metodo sicuro per addormentare e trasportare la malata in sicurezza. Contemporaneamente sopraggiunse la consapevolezza di non sapere ancora cosa avrebbe fatto nell'allenamento del giorno. Più camminava e più capiva di non avere in mente nulla. Arrivò al limite del campo e ancora nulla di innovativo era chiaro. Oramai velocità e forza erano state sviluppate, e anche il chakra. Forse aveva bisogno di qualcosa di definitivo, di un allenamento di conclusione, oppure semplicemente un test di quello che aveva appreso. Ma che diamine di test avrebbe potuto fare? Ancora una volta, il pensiero cadde lì, ovvero sulla possibilità di fare un altro sé stesso. E la risposta nacque automaticamente. Sigillo con mano destra in posizione verticale con indice e medio alzati e mano sinistra nella stessa configurazione però orizzontale, con una poggiata all'altra come per fare una croce, e via con la sua nuova tecnica personale Ratio Bunshin. Creò un clone dritto davanti a sé e lo dotò dell'esatta metà del suo chakra, più la copia della sua katana. Divise le armi con lui, escludendo dal suo equipaggiamento quelle singole, quali il rotolo da richiamo, i guanti, il lancia spiedi, il kusari fundo e il kyogetsu shoge, ed infine anche gli ombrelli. Avrebbe voluto utilizzare anche il fundo oltre alla katana, ma non aveva intenzione di spendere altro chakra per una Shuriken Kage Bunshin no Jutsu. Si distanziarono di sette metri esatti. Oramai era tutto pronto.
I due si osservavano, ognuno concentrandosi sulle propri punti deboli. Mettere in relazione questi con gli eventuali attacchi possibili sarebbe stato molto interessante, oltre che un ragionamento ovvio. Tutto questo era esattamente quello che dovevano evitare sia l'uno che l'altro, perché era impossibile usare una strategia già fatta in passato o non considerare che una strategia scelta sarebbe stata probabilmente presa in considerazione anche dall'avversario. Kaimetsu non aveva mai fatto un vero e proprio duello con una copia, era una novità assoluta. Questo non era strano, poiché combattere con un Bushin corporeo semplice sarebbe stato relativamente facile data la minore resistenza e il ridicolo quantitativo di chakra posseduto, quindi non era proprio confrontabile questa situazione con una del passato, come ad esempio quella affrontata nell'allenamento della velocità. Il Bushin aveva tutte le potenzialità necessarie per metterlo al tappeto, esattamente come le aveva lui. Passò un minuto e dieci secondi, dopodiché lo shinobi originale saltò all'indietro facendo una capriola, per poi prendere rapidamente uno spiedo e lanciarlo a mezz'aria esattamente verso il centro della testa del clone. Uno spiedo è difficile da vedere, e per questo molto difficile da parare, figurarsi se corre in una direzione quasi parallela a quella radiale visiva. Il clone però lo intercettò facilmente e si abbassò per lasciarlo passare sulla testa, e in quel momento Kai lanciò altri 4 spiedi contemporaneamente verso il distratto bersaglio. Subito dopo cominciò ad eseguire una serie di seals correndo verso destra. Il clone schivò uno spiedo, e gli altri furono tutti parati con uno shuriken che utilizzò per lanciarlo contro Kai. Cominciò anch'esso ad eseguire seals, mantenendo però una posizione sbilanciata verso il basso dall'azione precedente. L'originale lasciò una sola mano ai seals e l'altra prese lesta cinque shuriken che lanciò fulminea nella direzione della copia. Non erano però diretti tutti verso di lei, ma solo uno in realtà; gli altri erano stati lanciati a raggiera come se volessero coprire qualsiasi suo spostamento laterale, benché la cosa fosse relativamente inutile. D'un tratto però, con uno spostamento quasi invisibile Kai si ritrovò sopra la testa del clone, lanciò nuovamente altri quattro shuriken e poi una Palla di Fuoco Suprema. Aveva utilizzato nello spostamento il primo livello del Cursed del Cielo. Le armi erano state mirate verso le altre ancora in movimento, e avrebbero colpito le stesse in modo tale da farle convergere tutte verso l'obiettivo, e il Katon avrebbe chiuso tutte le vie di fuga aeree. La copia, d'altro canto, come vide il primo lancio di armi, interruppe il Jutsu che stava impastando e cominciò a farne un altro. Il perimetro sembrava essere completamente circondato, e fare un banale Suiton di protezione non sarebbe bastato a fermare una palla di fuoco proveniente dall'alto e le armi dai lati. Inaspettatamente però, non si avvertì alcun suono proveniente da quel punto, quasi come se la copia non avesse agito, e la palla batté contro il terreno, esplodendo. Kaimetsu non sembrava però sorpreso, e si concentrò per capire quale sarebbe stato l'attacco che avrebbe ricevuto. Sicuramente da quella distanza una tecnica tra le tante sarebbe stata la più appropriata, ma non poteva essere eseguita poiché avrebbe impiegato troppo tempo nella preparazione. Non ebbe neppure il tempo di cogitare su una eventuale alternativa, che dal terreno eruttò un fiume di fuoco diretto verso l'alto e con lui comparve anche il clone. Palesemente aveva utilizzato una Earth Release per nascondersi sottoterra e per impastare da lì il chakra per il Fiato Ardente del Drago. In un tempo brevissimo, lo shinobi ebbe la lucidità e la rapidità di formulare il sigillo necessario a richiamare un Suishouha, che si abbatté sulla base del flusso di fuoco, e limitò il danno che l'obiettivo avrebbe ricevuto. Parandosi con le mani, Kaimetsu riuscì a non subire che una leggera scottatura sugli avambracci. La copia invece venne parzialmente colpita dall'impatto dell'onda, poiché non riuscì a schivare completamente il contrattacco, ma data la minuscola entità del colpo riportò semplicemente qualche livido superficiale. La sfida, evidentemente, non era ancora per nulla iniziata. Gli sguardi si incrociarono, e in sincrono divennero più minacciosi del solito. Entrambi attivarono l'innata del Byakugan al massimo livello, pronti ad utilizzare tutte le loro carte. Il clone scattò in avanti, Kai lanciò uno spiedo per disturbare la sua azione. Il clone estrasse la katana con la mano destra, e compiendo un giro completo deviò a terra l'arma con la lama senza problemi. Con la mano libera lanciò violentemente tre proiettili di chakra contro l'avversario, e saltò in avanti per colpirlo con un potente fendente portato dall'alto verso il basso. Kai effettuò rapidamente una Doroku Gaeshi che eresse immediatamente un muro di roccia da un potente colpo col piede. Dopodiché fece una capriola all'indietro e lanciò uno spiedo con attaccato un sigillo esplosivo con detonazione ad impatto. Il clone affondò nel muro di roccia con la katana, e si ritrovò con l'arma vicinissima e diretta verso di sé, al che saltò sulla cima della parete ancora eretta e, sfruttando la sua altezza, con un salto poderoso si allontanò dall'esplosione attivando anche contemporaneamente un Muro d'Acqua di protezione. Riuscì a scampare dal raggio d'azione del sigillo esplosivo esclusivamente per aver visto l'arma attraverso il muro. L'esplosione lo fece sbilanciare ed inoltre alcune parti del muro esploso gli andarono addosso, venendo parzialmente parate dal Suiton. Sfruttando la presenza di parti del muro ancora non del tutto cadute a terra, il clone, lasciando istantaneamente l'acqua in balia di sé stessa, caricò e lanciò una potente Hakke Kuushou. L'onda d'urto inarrestabile, tecnica derivata dalla sua innata, portò con sé sia l'acqua del Suiton sia tutte le porzioni di roccia ancora in aria verso la posizione del Kaimetsu originale. Egli, riuscì a stento a contrattaccare l'onda con un'altra Hakke Kuushou, la quale andò ad impattarsi con l'altra e sgretolò tutti i detriti, ma lasciò l'acqua abbattersi con una velocità minima su Kai, che non risentì del colpo se non per la freddezza del liquido sulla pelle. Arrivarono di nuovo ad un punto di stallo, in cui i due si osservarono a vicenda, immobili. C'era qualcosa che ancora mancava in quel combattimento, e tutti e due sentirono fosse il contatto diretto col corpo avversario. Ad un tratto, in una frazione di secondo si trovarono entrambi a un metro di distanza, con delle macchie nere su quasi tutto il corpo. Avevano attivato il secondo livello del Cursed per traslare verso l'avversario il più velocemente possibile e poi attaccarlo con lo stile juuken, ma entrambi avevano pensato la stessa cosa, sintomo forse del fatto che la stanchezza cominciava a sentirsi, e i ragionamenti multipli cominciavano a venir meno. Riducendo il Seal dal secondo al primo livello, cominciarono all'istante ad attaccarsi ad una velocità molto elevata principalmente con le mani, e a volte anche con rapidi calci, mirando ai punti di fuga con una serie di Tenketsuken e Veli di Chakra. Lo scontro preliminare ravvicinato durò per circa venti minuti, nei quali nessuno dei due ricevette colpi, ma registrarono soltanto una perdita spaventosa di chakra. Lo scontro, alla luce di questo, si fece sempre più intenso. Cominciarono ad utilizzare la katana con una mano, in modo da usare l'arte juuken con una e la lama con l'altra. Dopodiché spiedi e bushin esplosivi contrapposti a Rotazioni Supreme si susseguirono in un battibaleno, ed entrambi non sembravano avere la benché minima intenzione di mollare. La battaglia però si faceva a poco a poco molto pericolosa. Ora non bastava più il primo livello, si passò, dopo circa altri quaranta minuti di scontro, al secondo. La pelle venne completamente invasa dall'oscurità del Seal, gli occhi mantennero il loro colorito ma i bulbi oculari divennero scuri. Le venature si evidenziavano ancora più spaventosamente in viso, i capelli si allungarono, sul naso comparve un segno nero, e spuntarono delle ali scure a forma di mani. La velocità aumentò ancora di più, e con essa anche il chakra impiegato e la forza. Kaimetsu sapeva perfettamente che tale scontro non avrebbe avuto fine se avesse continuato in questo modo, ma lo stimolo di confrontarsi con sé stesso fino in fondo era troppo grande. L'ambiente circostante era diventato a dir poco irriconoscibile: gli alberi limitrofi erano stati squarciati da alcune esplosioni, il terreno era invaso da buche provocate dai sigilli esplosivi o dalle Rotazioni. Nell'aria si avvertivano forti rumori provocati dagli impatti devastanti tra i due sfidanti. Combatterono fino all'ultima goccia di chakra, e poi si ritrovarono entrambi stesi a terra, col Seal che a poco a poco svaniva, privi di conoscenza. L'ultimo impatto era stato generato da uno scontro di due rasengan alla potenza massima. Il clone svanì e Kaimetsu prese conoscenza dopo una decina di minuti. Lo scontro era durato circa dieci ore, e aveva consumato tutti i quindici sigilli esplosivi che possedeva, con annessi i relativi spiedi portanti. L'allenamento in compenso era finito, e oramai non c'era più nulla da dover testare, eccetto la velocità della sua ripresa.
Quando ebbe la forza di rialzarsi lo scenario che vide provocò in lui non poca desolazione. La fame poi si sentì di colpo, e fu come se un cane gli avesse morso lo stomaco e non staccasse neanche per un istante le zanne da esso. Non solo: dato che non aveva l'energia necessaria per evocare un ranocchio, dovette farsela a piedi per tutto il tragitto. Camminando e facendo qualche sosta ogni tanto, riuscì ad arrivare finalmente al villaggio e soprattutto a casa sua per una doccia celestiale. Con un'energia e una velocità soprannaturali, infine, scattò verso la sua oramai affezionata taverna di Ekiken. Appena entrò avvertì già un'aria accogliente. C'era non poca gente intenta a gustare delle squisite e fumanti pietanze serali che l'oste preparava con tanto amore. Allo shinobi affamato parevan dei potenti magneti a cui lui, povero ferretto indifeso, non poteva resistere neanche se avesse davvero voluto. Rigò dritto verso il bancone e fece la sua ordinazione senza neanche salutare Ekiken. Egli intuì le buone intenzioni dello shinobi e gli sorrise, affrettandosi a soddisfare anche tutti gli altri clienti. Kai gli chiese che fine aveva fatto la sua cameriera cercando di prenderlo in giro, e lui disse di non averne mai avuta una e che neanche l'avrebbe mai avuta. Continuò a stuzzicarlo sull'argomento, per cercare di ingannare l'attesa e non pensare alla fame orrenda che aveva in corpo. Tra una battuta e l'altra, così come era successo qualche giorno addietro fece irruzione nel locale una ragazza che sembrava corrispondere nell'aspetto a Hitomi. Infatti era lei, che si precipitò nello stanzino interno di Eki dietro al bancone, e cominciò a discutere con lui senza neanche considerare tutte le persone che la stavano guardando pensando a chissà quale emergenza era venuta a comunicare. Kai con fare leggermente idiota, si voltò e con un sorriso smagliante disse alla clientela che non c'era da preoccuparsi e che non era successo nulla. Dalla stanza infatti aveva sentito gli stessi discorsi dell'altra volta riguardanti pagamenti e consegne di nihonshu, una varietà di sake originata dal riso, che probabilmente veniva fornito dalla famiglia. Il ninja però non aveva ancora idea del motivo che spingeva la ragazza a simulare sempre la tecnica della Carica. Concluse che forse potesse essere una qualche abilità genetica. Appena uscita, chissà per quale oscuro motivo, ebbe l'accortezza di voltarsi verso Kaimetsu, e anche di salutarlo e di fermarsi. Kai espresse tutto il suo stupore per essere stato onorato di un suo sguardo e di qualche minuto del suo tempo. La ragazza disse che era sempre di fretta per via delle numerose commissioni che aveva da fare. I suoi occhi erano sempre di quel marrone vivo e penetrante tanto insolito quanto attraente. Parlando del più e del meno, la giovane si fermò addirittura a cenare con lui e a fargli provare il suo prezioso sake. La percentuale di alcool rese la serata di poco più allegra, permettendo a Kai di vedere la donna sotto una luce nuova. Il tempo di finire materialmente la cena e la ragazza disse già di doversene andare, al che Kai si offrì di accompagnarla ma lei rifiutò perché non andava a casa ma a continuare il suo giro. Lo shinobi allora pagò e la accompagnò all'uscita. Lì la ragazza si fermò e divenne pensierosa. L'argomento più importante che era nato tra i due al momento del loro primo incontro non era stato ancora toccato, quindi lui capì che doveva delle parole alla giovane sul da farsi.
« Allora... hai deciso? » « Non sono ancora sicura... ma credo che bisognerebbe tentare. Ma non si fa nulla se tu non sei... » « ...assolutamente certo che non ci saranno problemi, lo sono. Fidati di me, ce la dobbiamo fare. »
Hitomi sbuffò nervosamente, e poi con riluttanza fece sì con la testa. Il suo stato d'animo era comprensibile, perdere una persona cara per averla tradita sarebbe stato doppiamente doloroso.
« Che ne dici di... stanotte? » « Cosa?? Che diavolo stai dicendo? E'... è troppo presto... devo prima pensarci bene... » « Non c'è tempo per pensare. Se hai deciso hai deciso, ulteriori ritardi sono inutili sia per te che per lei. » « E bé certo, parli così perché a te non frega niente, non perderai assolutamente nulla se le cose andranno male. » « Invece sì. » « E cosa?? »
Kaimetsu distolse lo sguardo socchiudendo gli occhi in segno d'eloquenza. Poi s'alzò e si incamminò verso casa.
« Ti aspetto davanti al vicolo domani, alle otto. Ti dirò tutto lì, non c'è bisogno che tu porti nulla. Buonanotte. » « Ok... buonanotte. »
Hitomi osservò il giovane andarsene senza mutare la sua espressione leggermente sorpresa e pensierosa. La notte sembrò avanzar presto tra le ombre della sera.
Alle sette in punto del giorno seguente, lo shinobi era già davanti all'unico negozio di erboristeria del villaggio. La proprietaria si presentò con soli cinque minuti di ritardo, una donna di trentacinque anni bionda e con gli occhi verdi, vestita con un tailleur beige abbastanza elegante. Quando Kai le ordinò un sonnifero, lei ovviamente chiese se avesse la ricetta, e quindi disse di essere uno shinobi. Per “lavoro” aveva diritto a questo genere di medicinali, però era necessaria anche una licenza per attestare la conoscenza dei veleni e degli antidoti, che egli possedeva. Alle otto in punto, Hitomi era lì ad aspettarlo. A quell'ora la zia avrebbe fatto colazione, e quindi Hitomi avrebbe dovuto semplicemente mettere del sonnifero solubile nel latte e avere qualche piccola attenzione, e al resto avrebbe pensato lui. Con molto savoir faire, la giovane riuscì nell'intento, e spinta dalla necessità di non voler perdere la zia, riuscì anche a non farsi scoprire. Infatti il sonnifero non era istantaneo, ma aveva un decorso molto lento e proprio questa particolarità rendeva l'effetto non immediato, ma graduale. L'anziana avrebbe quindi semplicemente provato una grande voglia di andare a letto, e ci sarebbe andata di sua spontanea volontà. Hitomi avrebbe dovuto soltanto tenerla sotto controllo a distanza, sentendo se ci fossero state cadute inaspettate. Tutto andrò però bene, e Kai, dopo quasi venti minuti, entrò e prese l'anziana in braccio. Poggiandola sulla spalla, richiamò un rospo di dimensioni medio-grandi provvisto di barella sistemata bene addosso, che avrebbe dovuto trasportarla in sicurezza, dandole anche un miglior confort. La barella era stata sistemata dagli infermieri del centro medico in cui sarebbero dovuti andare, e il rospo era stato mandato la notte precedente da Kaimetsu. Hitomi sarebbe andata su un altro rospo, richiamato successivamente, che l'avrebbe portata fianco a fianco all'altro rospo, in modo tale da tenere sotto controllo meglio la zia durante il viaggio. Con i loro potenti balzi, i rospi sarebbe andati ad una velocità paragonabile a quella di Kai, che li avrebbe seguiti da terra. Il viaggio fu abbastanza tranquillo, e nel centro medico i dottori furono incoraggianti e consapevoli del fatto che l'anziana sarebbe dovuta restare sempre addormentata. L'intervento fu eseguito subito e durò circa tre ore. Fu un successo, e l'anziana non era più in pericolo di vita, ma avrebbe dovuto riposare ancora qualche giorno. La notizia fece rabbrividire per un momento i due, che non avevano tenuto molto conto di questo. Il riposo, spiegò il medico, era necessario affinché la signora potesse riprendersi dal taglio dovuto dall'operazione. Kaimetsu quindi si precipitò per vedere se con i suoi poteri avrebbe potuto accorciare i tempi, e in effetti così fu. La ferita venne completamente guarita, e restarono solo le cicatrici che naturalmente la signora non avrebbe potuto spiegarsi in nessun modo. Hitomi però era sicura del fatto che avrebbe accettato la storia dell'operazione in casa, fatta proprio da Kaimetsu, e quindi si poté ripartire verso Mokunen. Ci fu solo un episodio in cui si fermarono per curare di nuovo le ferite che stavano per riaprirsi, per il resto tutto andò secondo i piani, e l'anziana venne riposta esattamente dove l'avevano trovata. Il sonnifero che Kai gli aveva somministrato agiva per un giorno esatto, e quindi l'anziana si sarebbe svegliata approssimativamente alla stessa ora del giorno seguente.
Hitomi, uscendo dalla piccola casa della zia, divenne radiosa in viso come mai si era vista. Arrivati a metà strada si girò verso Kai e lo abbracciò con tutta la sua forza. Egli rispose all'abbraccio e appoggiò leggermente il viso tra i suoi capelli. Lei si distaccò leggermente per guardarlo, e si baciarono. Dopo averla salutata, andò dal proprietario dell'ostello, da Hidemichi e da Ekiken e li salutò tutti dicendo che partiva per Konoha. Da lontano, il villaggio gli parve come una grande mano che voleva come imprimergli nella mente che oramai era diventato una parte di sé.
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