La risposta del maestro arrivò dopo alcuni secondi nei quali l’allievo non guardò il suo interlocutore negli occhi, ma piuttosto il terreno ai suoi piedi, un po’ per recuperare dalle fatiche di prima, anche se in parte l’aveva già fatto, e poi anche perché aveva timore di incrociare gli occhi severi del suo sensei pensando di aver detto qualcosa di sbagliato, ma questo non successe. L’insegnante, preso atto delle risposte degli allievi, diede loro delle nuove consegne parlando con voce chiara e decisa, dicendo esattamente il necessario, senza giri di parole o inutili preziosismi; il prossimo compito era forse uno dei più difficili affidabili ad uno studente: il controllo del chakra.
In effetti per arrampicarsi su un albero utilizzando il chakra nei piedi ci voleva un controllo non indifferente per uno studente, ma non c’era tempo per replicare, i ragazzi avrebbero dovuto provare sul momento e affidarsi solo al loro istinto. Anyo si diresse verso il tronco più vicino e, prima di salirvi sopra, lo studiò attentamente: era un albero altissimo e dal grande tronco, dal diametro approssimativamente di quasi due metri, e presentava sulla corteccia sana e spessa, alcune strane nodosità, ma niente che avrebbe impedito la scalata a parte qualche ramo sporgente; per salire su quell’albero avrebbe dovuto usare una quantità di chakra non troppo alta, o la corteccia avrebbe ceduto e lui sarebbe caduto. Per far fluire il chakra ai piedi, visto che non aveva ancora una padronanza magistrale con questa tecnica, usò un trucco insegnatogli dalla zia qualche settimana prima: immaginò il flusso del chakra come un contenitore situato all’incirca all’altezza dello stomaco che, da li si diramava molto semplicemente in direzione degli arti e della testa, quindi provò a ordinare a questo flusso di dirigersi, in una quantità moderata, verso i piedi e di stabilizzarsi li. Il ragazzo sentì fluire l’energia dentro di lui e dopo poco una sensazione di fermezza proveniente dai piedi lo colse, almeno il chakra lì c’era arrivato. A questo punto il ragazzo provò ad appoggiare un piede sull’albero e, vedendo che era stabile, provò ad alzare l’altro, ma in quel momento il chakra incrinò la corteccia dell’albero e lo fece cadere.
“
così non va, ho usato troppo chakra e i passi lenti non favoriscono certo questo esercizio, devo provare a saltare sul tronco e andare un po più veloce”
Ripetendo il procedimento per immettere il chakra nei piedi, questa volta in quantità minore, Anyo si allontanò di qualche passo dall’albero per prendere una breve rincorsa, quando il chakra fu stabile il giovane iniziò a correre a velocità media, giunto quindi a due metri dal tronco spiccò un balzo facendo una capriola che lo portasse con i piedi in direzione dell’albero, quindi iniziò a correre verso l’alto; con sua sorpresa non stava cadendo e i primi rami dell’albero si avvicinavano. Decise di rallentare e provare camminando, da principio il chakra lo sostenne ancora un po’, poi il ragazzo si accorse che stava per cadere, quindi si dette una spinta e atterrò ai piedi del tronco.
Era abbastanza soddisfatto, non era riuscito ad eguagliare il maestro, ma come avrebbe potuto? In fin dei conti lui era solo uno studente e l’esercizio non era andato poi tanto male. Adesso doveva fare altri quindici giri di campo; stavolta conosceva il terreno e sapeva l’andatura da tenere, quindi i primi giri passarono in scioltezza; solamente al decimo giro un po’ di affanno turbò l’andatura del ragazzo ma completò i giri senza immani sforzi.
Ed ora, il momento più atteso: la tecnica. Il ninjutsu era una delle arti preferite da Anyo, non perché gli riuscissero bene, ma piuttosto perché gli piaceva impastare il chakra e creare effetti magici e strani. Senza dubbio la tecnica più strana e più bizzarra che avesse mai visto era quella che gli aveva mostrato la zia qualche tempo prima, una tecnica molto utile, soprattutto sontro delle armi da lancio, ma anche molto
divertente. Portandosi di nuovo di fronte al sensei, il ragazzo dichiarò:
ok sensei, le mostrerò una tecnica: il simulacro di spinedetto questo si allontanò di qualche passo dal maestro flettendo le gambe e giungendo le mani per concentrarsi meglio. Per questa tecnica era importante concentrare il chakra nei capelli, ma questa volta ce ne voleva di più di prima e soprattutto richiedeva un dispendio di energie. Immaginandosi il percorso del chakra come nella situazione precedente, adesso il ragazzo gli ordinò di andare dritto alla testa, e quindi ai capelli, una volta che pensava di aver accumulato abbastanza chakra, lo rilasciò tutto in una volta.
Marin Jijizo!Una massa informe di capelli neri iniziò a crearsi dai suoi originali, arrivando a coprire le spalle, la schiena, le gambe il torace e le braccia, lasciando scoperti solo la testa e i piedi. I capelli non erano rimasti normali, ma avevano preso la forma di punte e al tatto sembravano affilate. Verificata la corretta esecuzione della tecnica, il giovane la rilasciò, quindi si riavvicinò al sensei attendendo il suo giudizio guardandolo negli occhi.