| .:[Lan Hikari]:. |
| | CITAZIONE Narrato † Parlato † Pausa [...] ₪ Chapter Two: Beginning ₪ Alba di un nuovo giorno nel Villaggio della Nebbia. Un sorgere del sole, che al contrario di quelli normali, appariva incupito e spento, i raggi del Sole faticavano a trapassare le grigia barriera che era edificata dalle sempre presenti nubi. I bellissimi colori, che solitamente variavano dai gialli più luminosi ai rossi più scuri erano sbiaditi, privi di lucentezza, e donavano all’ambiente un aspetto ancor più malinconico di quello che già possedeva. V’era freddo quella mattina, terribilmente freddo, ero vestito pesantemente per non soffrir pena alcuna. Con i gomiti poggiati sul marmoreo davanzale, sorreggevo la testa con ambo le mani; gli occhi vermigli fissavano il giardino. Ne flora ne opere umane erano visibili, la nebbia che tutto agguanta non permetteva a niente d’esser scorto dal mio sguardo. Solo ed unicamente un grigio chiaro, non sapevo come mai rimasi così a lungo incollato di fronte al vetro appannato a fissare il niente. Pensavo. Pensavo al mio avvenire, a come sarebbe stata la mia vita negli anni venturi, al come e quando sarei divenuto ninja. In particolare meditavo su quest’ultimo punto, da tempo ormai avevo inviato la mia richiesta di ammissione all’Accademia locale, ma non mi era ancora giunta la risposta. Fremevo di riceverla, che fosse positiva o meno. Nel primo caso non avrei fatto nulla, ma se la risposta sarebbe stata negativa avrei nuovamente chiesto la partecipazione ad un corso, e ne frattempo mi sarei allenato per arrivare preparato fisicamente e mentalmente pronto alle prova che avrei dovuto affrontare. Annoiato, dopo una buona mezz’ora passata a perdere tempo, mi coricai nuovamente sul letto, lievemente ancora caldo. Non badai a coprirmi od a sistemarmi, mi lasciai andare e m’addormentai in breve.
Freccia rifulgente scoccò dall’arco della Stella vitale, centrando in pieno con invidiabile mira, le mie palpebre che l’iridi scarlatte proteggevano. Le schiusi pian piano come boccioli di fiori in odor di primavera appena giunta, facendo penetrare lentamente la luce che era comunque ostacolata dalla mia mano mancina che era andata a diminuire il bagliore che m’affliggeva. Con sforzo apparentemente immane, mi posi dapprima seduto sul letto, infine in piedi. Incrociai le mani verso l’alto, stirando le braccia, mentre sbadigliavo e mi dirigevo verso la finestra. Aprii le ante, ma notai che quel flash che mi destò dal sonno era già svanito, per lasciare spazio alla naturale barriera di microscopiche particelle d’acqua disperse nell’atmosfera. Un evento molto più che raro, definibile quasi unico. Strano, ma alquanto piacevole, sembrava quasi avermi messo di buon umore. Lasciai che la fresca aria, la cui temperatura era alzata in confronto al presto orario durante il quale mi svegliai la prima volta, divagasse nella camera d aletto per arieggiare il loco, che spessissimo restava chiuso a causa dello gelido spirar cui il paese era soggetto. Erano le nove circa, un fioco disco tentava vanamente d’oltrepassare la nebbia per irradiar calore e donar a uomo, animale e pianta la luce di cui aveva bisogno. Il velo era impenetrabile ed inamovibile.
In fretta levai il pigiama per indossare i miei vestiti abitudinari, ovvero una maglia bordeaux con un colletto alto e morbido che però tenevo ripiegato disordinato su se stesso, una casacca nera con degli strani simboli marrone chiaro, un paio di pantaloni del medesimo colore della prima citata ed infine i calzari di colore corvino. Non mancava mai la fascia coordinata alle braghe a reggere i lunghi ed appuntiti ciuffi che spuntavano, ma molto presto quella stoffa semplice avrebbe lasciato il posto ad coprifronte con il simbolo di Kiri al centro della lamina ferrea. Come d’abitudine, uscii di casa per controllare se vi erano lettere od altro genere di buste nella cassetta apposita, e con sorpresa notai che a far compagnia ad un paio di bollette c’era una busta dall’indirizzo mai visto prima. Citava: Accademia Ninja del Villaggio della Nebbia. Le pupille mi sentii luccicare alla vista di tali parole, e con largo sorriso mi rintanai nella mia umile abitazione. Feci ritorno nella prima stanza, chiusi entrambi gli sportelli del rettangolo ligneo poiché l’ossigeno aveva rinfrescato a sufficienza l’aria. M’accomodai sul materasso, gettai sul comodino le due richieste di pagamento per concentrarmi sulla finalmente giunta risposta. Strappai uno dei margini laterali dell’involucro cartaceo, che racchiudeva il foglio del responso piegato in tre parti accuratamente.
CITAZIONE Gentile Sig. Shinretsu abbiamo accolto positivamente la sua richiesta di partecipazione all’Accademia. Lei è stato collocato nel corso I-15, che partirà il giorno 16 di questo mese. L’orario fissato è alle 08:30 nell’aula 15. Il suo Sensei sarà Kyon Mikawa, che richiede puntualità e vi augura Buona Fortuna. L’Accademia Ninja di Kiri Sfoderai un riso leggero degno di nota, ero felice. Interpretai quel fascio dorato che riuscì a perforare la naturale frontiera come una specie di avvertimento. E quel segnale lanciatomi simboleggiò lo sorgere di una nuova stella, che avrebbe fatto breccia spezzando ogni muro gli si parasse d’innanzi: Lan Shinretsu, futuro Genin e manipolatore d’acqua e ghiaccio. Digrignai le arcate dentali, allungando le labbra, disegnando un espressione ricca di gioia, mi sentivo quasi gasato alla sola idea di frequentare altra gente bramante del titolo di Shinobi. Avrei trovato oltre che a probabili nuove amicizie, una vasta gamma di avversari/compagni che avrei tentato di surclassare, impiegando anche tutte le mie capacità se il caso l’avesse richiesto. Posai anche la schiena sul tenero suppellettile, alzai al cielo la carta e vi passai lettura mentale un infinità di volte, non riuscivo a staccar la vista da quei vocaboli d’accetto. In meno di 72 ore, il cammino di un nuovo potente mezzo di distruzione avrebbe avuto il proprio start. Kiri avrebbe avuto una nuova arma con sé.
[…] La danza trillante della sveglia vibrò nell’aria coma tuoni a ciel sereno, il ronzio che ella emetteva ogniqualvolta il suo piedistallo metallico batteva con il legno del piccolo mobile, che giaceva affianco al mio letto, distruggeva quel beato e pacifico silenzio che pareva ovattare ogni rumore. L’atmosfera, da tranquilla e piacevole tramutò in assordante ed odiosa. Il non-suono se ne andò lasciando la scena a frastuono che mi sradicò dal ristoratore riposo. Lentamente la mano destra, che dapprima pendeva, andò a cercar a tentativi l’oggetto rotondeggiante ed una volta afferratolo, le dita premettero il tasto di arresto e l’acuto stridente cessò di disturbare. Ormai Morfeo, colui che divinamente il sonno donava, m’aveva abbandonato. Aprii e serrai le palpebre più volte, attendendo che s’abituassero alla radiazione elettromagnetica, sebbene poca ve ne fosse. Quello era il giorno dell’inizio, nel quale speranze e sogni avrebbero potuto iniziare a concretizzarsi, per realizzarsi un dì. M’alzai, erano già le sette e trenta, mi diressi in bagno ove mi sciacquai la faccia, passai poi alla cucina, nella quale preparai una veloce colazione, caffé ed un paio di biscotti. Ritornai nella stanza precedente per curare l’igiene personale, per finire nuovamente in camera da letto. Indossai gli stessi abiti vestiti il giorno addietro, quello in cui arrivò l’attesa risposta. Essi stavano tutti riposti con ordine nell’armadio, l’avevo sistemati accuratamente per averli disponibili per il grande giorno. In fretta fui pronto, indi fasciai con delle bende un porta-kunai che tenevo sempre lungo il fianco della coscia destra, difatti in posizione eretta normale, con le braccia penzolanti, mi era di facile uso il suo contenuto. Infine, in vita a mo’ di cintura, allacciai un secondo porta-kunai; esso si trattava di una sacca di modeste dimensioni, nella quale vi riposavano oggetti di vario genere, divisi per tipo. Lasciai la mia abitazione, un secondo prima adocchiai l’orologio e notai che avevo poco più di mezz’ora per arrivare a destinazione. Avevo tempo a sufficienza, non fui costretto a correre a perdifiato di prima mattina. Posai passo sulle strade desolate, a vederle si poteva dire che Kiri e Suna si somigliavano, sarebbero gemelle se non fosse per il clima praticamente opposto. Cercai di dosar il posare del calzare sui ciottoli per non privar del dormire la povera gente che come me in misere mura risiedeva. Mi guardavo in giro, ma era possibile notar ben poco; tutto era ricoperto da Nebbia fitta, l’unica cosa che riuscivo a scorgere fra l’umidità era il paio di metri di strada che mi precedevano, il resto invisibile completamente. Qualche lampione emanava bagliori, ma le lampadine di probabile scarsa quantità riuscivano a fender appena lo scudo usuale. Percorsi con media velocità il tratto che mi distanziava dall’importante edificio, giunsi in sua prossimità con un po’ d’anticipo. Esso con imponenza rilevante, svettava come un monte sul mare fra le basse abitazioni che caratterizzavano la quasi totale assenza di ricchezza nel paese. Respirai profondamente, e ripresi il moto. Già la tensione iniziava a divorarmi lentamente, come un male che con calma ti fa soffrire, e quando hai patito abbastanza ti stronca la vita. Ma era palese, non sapevo né chi con avrei avuto a che fare né cosa mi sarei trovato costretto ad affrontare per essere promosso e quindi riconosciuto come ninja del BloodyMist Village. Varcai quella soglia, cercai con tutte le forze di calmarmi, concentrandomi per ricercare l’aula scelta per svolgere il corso. Gettai l’occhio su una bacheca che conteneva svariate informazioni, ed una volta trovata quella che m’interessava. In fondo al corridoio alla sinistra dell’entrata c’era una porta aperta, vidi qualcuno mettervi piede, probabilmente un partecipante. Girai i tacchi e seguii la scia dell’essere appena notato, e dopo aver mosso i piedi per pochi metri, portai la mia figura al centro del rettangolo d’ingresso. Alzai la testa, inspirai ed espirai un’ultima volta, molto lentamente, deglutii talmente tanto da creder di perir strozzato dalla mia saliva. Avanzai ulteriormente, addentrandomi in quelle pareti malmesse, che racchiudevano un ambiente per lo più fatiscente. Nelle pupille color sangue rappreso di disegnarono cinque sagome umane: uno, il Mikawa con aria da veterano sembrava dominare emotivamente la situazione. Gli altri quattro, studenti, piccoli demoni da allevare, sedevano in sedie-merenda dei tarli. Uno di loro in particolare aveva un viso paonazzo, povera bestia emozionata, sembrava fosse pronta a scoppiare in un pianto. Io nulla, ero dominato da un cervello privo di pensieri che mi avrebbero condizionato. † Buon giorno Kyon-Sensei. Qui è Lan Shinretsu † M’inchinai in segno di rispetto verso colui che differiva di ben tre gradi da me, portando le mani al petto congiunte come in preghiera, in stile Judoka. Catturai con le pupille una sedia libera, in mezzo all’aula, postazione né da secchione né da casinista. Una via di mezzo insomma. Tirando via la sedia da sotto al banco, creai involontario rumore, che mi parve frantumare la miscela esplosiva di stati d’animo che s’era mescolata, ognuna proveniente da un corpo. M’accomodai senza indugiare, m’inserii un poco con le gambe nell’apposito vuoto lasciato dai ferri delle gambe del tavolino ed incrociai le braccia, in posa d’attesa. Non doveva mancare molto allo scoccare dell’ora prefissata, un paio di minuti al massimo credo. Sapevo che ogni secondo sembrava un’infinità, un lasso di attimi interminabili. Malgrado tutto, fui costretto ad aspettare il loro passaggio. Freddo, privo d’emozioni anche se non era nella mia natura, permasi in quel loco così poco ospitale senza aprire bocca o fulminar con lo sguardo quello altrui. Intimorire non rientrava nel mio stile.
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